lunedì 31 ottobre 2011

KUNG FU - BUDDISMO

Buddha e il Buddismo

Secondo la tradizione Buddha visse in India fra il 560 e il 480 avanti Cristo. Suo padre, il re Suddhodana cercò di allontanare dalla vita del figlio, a cui aveva imposto il nome di Gotama, tutto ciò che poteva turbarne la felicità. Ma dopo molti anni questa esistenza tranquilla e felice è improvvisamente sconvolta.
Il giovane principe, che fino ad allora era vissuto nello splendido palazzo reale, attraversa la città ed i suoi occhi sono colpiti dallo spettacolo della povertà, della vecchiaia, della malattia e della morte. Gotama si rende improvvisamente conto che la vita non è solo letizia e piacere ed ha la consapevolezza della sofferenza umana; abbandona allora la dimora paterna e diventa asceta.
Dopo anni di rigidissima disciplina e durissimi sforzi, Gotama giunge alla conclusione che né i piaceri né il rigido ascetismo conducono all'estinzione della sofferenza. Adotta allora un “sentiero mediano” fra questi due estremi e continua a meditare sulle cause dell'umano dolore. Infine arriva a comprendere tali cause e scopre il mezzo per liberarsene.
Gotama diventa così il Buddha ossia l'illuminato. Il suo messaggio fondamentale è contenuto nelle cosiddette quattro Sante Verità:
  1. La sofferenza esiste: “Nascita è dolore, vecchiaia è dolore, morte è dolore, tormento, tristezza, afflizione, strazio sono dolore, non avere ciò che si brama è dolore”.
  2. Il dolore ha le sue cause che sono la sete di benessere, la sete di piaceri, la sete di esistenza...
  3. La sofferenza può essere eliminata eliminando le sue cause, estinguendo cioè le brame dell'uomo mediante il distacco totale, il completo annientamento dei desideri.
  4. Per eliminare le cause della sofferenza bisogna seguire l'ottuplice sentiero costituito da: fede pura, propositi puri, linguaggio puro, azione pura, vita pura, sforzo puro, memoria pura, concentrazione pura.
Con il passare dei secoli il Buddismo si suddivise in due rami fondamentali ed in numerose sette o scuole. I due rami sono:
  1. Buddismo Hinayana (Piccolo Veicolo) diffuso nel Sud dell'Asia. Esso si atteneva piuttosto rigidamente alla dottrina originaria.
  2. Buddismo Mahayana (Grande Veicolo) diffuso in Cina ed in Giappone. Il nome di Grande Veicolo sta a significare un'interpretazione più ampia che tale ramo del Buddismo dava alla dottrina.


Il Buddismo Ch'an (Zen)

Il Buddismo Ch'an (Zen in giapponese) è una delle scuole appartenenti al Grande Veicolo e secondo la tradizione fu divulgato in Cina dai monaco Bodhidarma (Ta Mo in cinese) nel sesto secolo dopo Cristo.
Ch'an deriva dalla parola sanscrita Dhyana che significa "meditazione". Secondo questa scuola si può sperare di ottenere il “risveglio”, l'illuminazione solo attraverso la concentrazione spirituale e la meditazione e non tramite la conoscenza.
Il Buddismo Ch'an ha assorbito alcuni aspetti del Taoismo filosofico ed ha a sua volta influenzato le tecniche di meditazione taoista.
E' importante tuttavia osservare che questa forma di Buddismo non è né una filosofia né una religione (non ricerca infatti l'immortalità, non conosce dèi, non ammette concetti tipo il peccato o l'anima), ma si può solo considerare un “sistema di vita”.

Chi pratica il Buddismo Ch'an deve educarsi a vedere direttamente dentro di sé ed a scoprire la natura intima della realtà, senza l'aiuto dell'intelletto. Per arrivare a ciò sono indispensabili le pratiche della concentrazione mentale e della meditazione.
Durante la meditazione bisogna fare il vuoto totale dentro sé stessi, bisogna far tacere la voce incessante della mente, bisogna abolire ogni pensiero, ogni emozione. Per mettere sotto controllo l'attività della mente è necessario regolare opportunamente la respirazione.
La persona comune non sperimenta la vera natura delle cose, la sua è una realtà distorta o un insieme di minuti frammenti di realtà.
Scopo della meditazione è quello di consentire all'individuo di entrare a contatto, in maniera totale, con la realtà vera che lo circonda. In ciò consiste l'illuminazione, il “risveglio”. Le cose si vedono allora in maniera completamente diversa, come attraverso un terzo occhio, in occhio spirituale.
Questa nuova visione di se stessi e del mondo è intuitiva, supera qualsiasi rappresentazione mentale e non deriva assolutamente dal pensiero o dal ragionamento.
L'illuminato vede le cose per così dire dall'interno, un po' come le vede un grande artista che ha la capacità di rappresentarle condensandone l'intima natura in pochi tratti essenziali. Si può comprendere allora quanto debbano l'arte cinese e quella giapponese alla scuola Ch'an.
Il Buddismo Ch'an ci insegna a non preoccuparci del passato o del futuro, ma a dare la massima importanza al momento presente che è il solo in cui siamo veramente vivi.
Famosa, a questo proposito, è la storia Ch'an di un uomo che stava per essere divorato da una tigre. Egli, constatato che gli era preclusa ogni via di scampo, colse una fragola e gustandola appieno esclamò: - Che buona! -
Quando si è in pace con sé stessi e non si è preda di cento desideri, preoccupazioni, dubbi, paure e passioni, si può agire in piena libertà e con tutto il proprio essere. Si partecipa allora ad ogni cosa perfettamente “svegli" ed in totale concentrazione. Si gustano le cose senza essere legati ad esse.
La mente diventa come uno specchio: è perfettamente lucida, presente e riflette tutto quello che vi è intorno senza che pensieri o preoccupazioni possano interferire Si impara così ad essere dei “testimoni”, degli “spettatori distaccati”; il pericolo o la morte non fanno più paura: sono riflessi dallo specchio della mente.


Il Buddismo Ch'an e le Arti Marziali

Si può facilmente comprendere da quanto detto la ragione per cui il Buddismo Ch'an ha così profondamente influenzato le arti marziali sia cinesi che giapponesi e perché delle arti che insegnano ad uccidere sono diventate delle Vie per il perfezionamento spirituale.
Il T’ai Chi Ch’üan ha indubbiamente una matrice più taoista che buddista, ma non si può negare l’influsso della scuola Ch’an sul suo sviluppo. Anzitutto il T’ai Chi Ch’üan deriva direttamente dallo Shaolin Ch’üan, che nacque proprio nel tempio in cui aveva a lungo insegnato lo stesso Bodhidarma. In secondo luogo taoismo e buddismo si sono senza dubbio influenzati a vicenda.
E si comprende anche perché le Arti Marziali Tradizionali Cinesi si svilupparono in un monastero Ch'an (Shaolin Szu).
La vita in un monastero Ch'an era adattissima per chi voleva praticare seriamente: l'alimentazione era frugale, il sonno permesso solo quello strettamente necessario e per di più su un duro giaciglio, il lavoro e l'allenamento fisico molto pesanti, la disciplina severissima. Erano richiesti puntualità, autocontrollo, sopportazione del caldo, del freddo, del dolore, imperturbabilità di fronte al pericolo ed alla morte.
Abbiamo inoltre visto che il Buddismo Ch'an insegna a vuotare la mente, a liberarla da ogni idea preconcetta, da ogni influenza esterna. Si può così arrivare ad uno stato di ricettività totale che permette di reagire istintivamente al minimo stimolo.
Se la mente è libera da ogni pensiero, priva di aggressività o paura, si possono percepire le intenzioni di un avversario ed agire di conseguenza; si può coltivare cioè un sesto senso che permette di prevedere il pericolo e di anticipare le azioni del nemico.
Se la mente è invece turbata da pensieri o da preoccupazioni d'attacco o di difesa, non è possibile percepire correttamente le intenzioni dell'avversario e si può essere tratti in inganno anche da una banale finta. Il vuoto della mente ed il duro allenamento del corpo permettono di raggiungere l'unità di spirito e di corpo: il corpo (temprato dall'esercizio) non più frenato dalla mente (vuota) è pronto allora a reagire istantaneamente nel modo più efficace e puro agli stimoli.
Non vi è più nessun freno fra percezione reazione; il tempo di reazione è il più breve possibile e la tecnica “perfetta”. Le tecniche “perfette” sono sempre eseguite in maniera inconscia, paradossalmente prima eseguite e poi pensate.
Ricordiamo infine che per gli ideali pacifisti e di non violenza del Buddismo, in perfetta armonia con quelli taoisti, il fine pratico delle arti marziali non è più l'eliminazione dell'avversario, ma l'autodifesa e la protezione dei deboli.

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