lunedì 24 settembre 2012

JUDO - IL FONDATORE

JIGORO KANO (1860-1938)
 
 
 
Il creatore del Judo nacque nel 1860 a Mikage, piccolo villaggio marino nei pressi di Kobe. Laureatosi in Scienze Politiche ed Economiche nel 1881, tentò la vita politica che abbandonò presto per intraprendere gli studi di Estetica e Morale. Nella sua lunga vita ricoprì importanti cariche governative e rappresentò più volte il suo Paese al Consiglio Internazionale Olimpico. All'età di 16 anni cominciò a praticare vari sports e studiò in modo speciale i vari metodi di Ju-Jutsu alla scuola di valenti Maestri dell'epoca. A 22 anni, nel 1882, aprì il suo primo Dojo adattandolo nel piccolo tempio di Eisho, nel quartiere di Shitaga a Tokyo. Da quella modesta sede doveva nascere, crescere divulgarsi il più grande dei movimenti sportivi del mondo, "VIA" di benessere non solo fisico ma anche, e forse soprattutto morale. Jigoro Kano moriva sul piroscafo Hikawa Maru il 5 maggio 1938, mentre rimpatriava, reduce da un faticoso viaggio preparatorio per le Olimpiadi in allestimento a Tokyo. Moriva un Uomo, rimaneva sul mondo la Sua Luce.

JUDO - LA STORIA

LA LEGGENDA
 
La più nota racconta che intorno alla metà del '500 un medico di Nagasaki, SHIROBEI AKIYAMA, si recò in Cina per approfondire le sue cognizioni sui metodi di rianimazione, che presupponevano una perfetta conoscenza dei punti vitali del corpo umano. Akiyama, uomo di moltiforme ingegno, approfittò del soggiorno nel continente per studiare anche il taoismo e le arti marziali cinesi. Tornato in patria, durante un periodo di meditazione notò che i rami più robusti degli alberi si spezzavano sotto il peso della neve, mentre quelli di un salice si piegavano flessuosi fino a scrollarsi del peso, per riprendere poi la posizione senza aver subito danni. Applicando alle tecniche di lotte apprese in Cina le considerazioni maturate sulla cedevolezza o "non resistenza", fondò la scuola YOSHIN (del "cuore di salice").

Nasce il Judo

Jigoro Kano si trasferì a Tokyo nel 1871 con la sua famiglia. D'intelligenza vivissima ma di gracile costituzione, doveva subire la prepotenza dei compagni, dai quali avrebbe voluto difendersi praticando il ju-jutsu.
Poichè la disciplina era screditata e ritenuta troppo violenta, Kano dovette rinunciarvi, dedicandosi specialmente alla ginnastica e al baseball per irrobustire il suo fisico. Nel 1877, entrato all'università di Tokyo, potè finalmente avvicinarsi al ju-jutsu, cui si applicò con passione, impegnandosi in duri allenamenti (sempre ricoperto di piaghe, era soprannominato "unguento"). I suoi primi maestri furono Hachinosuke Fukuda e Masatomo Iso, della Tenshin-Shin'yo-ryu, dai quali apprese in particolare il KATAME-WAZA e l'ATEMI-WAZA, venendo in possesso dei DENSHO (libri segreti) della scuola dopo la loro morte.
Conobbe quindi Tsunetoshi Iikubo, esperto della Kito-ryu, da cui apprese il NAGE-WAZA. Mentre progrediva con sorprendente facilità, penetrando i segreti dei diversi stili, nel 1881 ottenne la laurea in lettere e cominciò ad insegnare al Gakushuin (Scuola dei Nobili).
Nel 1882 il giovane professore aprì una palestra di appena 12 tatami nel tempio di Eisho, radunandovi i primi 9 allievi: nasceva così il KODOKAN ("luogo per studiare la VIA"), dove il giovane professore elaborò una sintesi di varie scuole di ju-jutsu.
Il nuovo stile di lotta, non più soltanto un'arte di combattimento, ma destinato alla divulgazione quale forma educativa del corpo e dello spirito, venne chiamato JUDO ("VIA della flessibilità"): come precisò Kano nel 1922, si fondeva sul miglior uso dell'energia (SEI RYOKU ZEN YO) allo scopo di perfezionare se stessi e contribuire alla prosperità del mondo intero (JI TA KYO EI).
Nel 1895 Kano elaborò con i suoi allievi migliori il primo GO-KYO ("cinque principi") o metodo d'insegnamento; nel 1906 riunì a Kyoto i rappresentanti delle varie scuole per delineare i primi KATA ("modelli" delle tecniche di lotta); nel 1921 presentò il nuovo GO-KYO, tuttora invariato.
Kano morì sul piroscafo Hikawa-Maru nel maggio 1938, mentre tornava in patria dopo aver presenziato al Congresso del CIO svoltosi al Cairo. Non assistette quindi alla disfatta del suo paese, ma un paio di anni prima, quasi presagisse la tempesta, aveva lasciato una specie di testamento spirituale ai judokas di tutto il mondo:
- Il Judo no è soltanto uno sport. Io lo considero un principio di vita, un'arte e una scienza [...] Dovrebbe essere libero da qualsiasi influenza esteriore, politica, nazionalista, razziale, economica, od organizzata per altri interessi. Tutto ciò che lo riguarda non dovrebbe tendere che a un solo scopo: il bene dell'umanità.

domenica 23 settembre 2012

MAESTRO SHIN DAE WOUNG - KUNG FU


 
 
Il maestro Shin Dae Woung è una leggenda vivente nel mondo delle Arti Marziali. Giunto nel nostro paese nei primi anni '70, fu definito dalla stampa specializzata uno dei 10 migliori marzialisti viventi e la più giovane cintura nera 8° grado al mondo. Recentemente il m° Shin, fedele alla sua fama di uomo legato alla pratica più che ai titoli, ha rifiutato il 10° grado (il più alto esistente) offertogli dalla Federazione coreana, di cui è uno dei fondatori. Tre volte campione mondiale, istruttore dei Berretti Verdi, latore di un sapere antico e tramandato per secoli da maestro ad allievo, il m° Shin è fondatore e guida carismatica dell'omonima scuola di Arti Marziali, rappresentata nella nostra regione dal m° Carlo Marmiroli, allievo diretto del maestro dal 1985. La conoscenza del maestro Shin è tra le più accreditate al mondo nei 5 stili di cui continua la divulgazione, che sono: Pa Kwua, Tai Chi, Hsing-Yi, Tang Lang e Shaolin. Ma i lunghi periodi trascorsi nei monasteri Zen (San) sulle montagne ne hanno formato la preparazione anche negli aspetti più spirituali ed in campo medico. Il metodo del m° Shin infatti, nel rispetto delle antiche tradizioni, comprende l'insieme delle tecniche di salute e benessere delle due tradizioni, Taoista e Buddista, e propone una pratica completa per la ricerca della saggezza e della perfezione. Il m° Shin Dae Woung è presente nella nostra scuola il terzo lunedì di ogni mese con stage mensili, nei quali tiene personalmente le lezioni. Attualmente è in costruzione nel nostro sito l'area ufficiale della scuola Dae Woung in Italia.

AIKIDO - MIYAKO FUJITANI





DOJO DI MIYAKO FUJITANI


AIKIDO

L'Aikido per tradizione si articola sul numero tre; tre modi di lavorare: suwari-waza, hanmi-hantachi-waza, tachi-waza; tre ritmi diversi: jo, ha, kyu; tre espressioni: aikitai, aikijo, aikiken. Lo stesso vale per l'Uomo dove abbiamo una parte materiale, le gambe, una parte vitale, l'addome, una parte intellettuale/spirituale, la mente.
È molto importante che si tenga conto di questa filosofia durante lo studio dell'Aikido. Senza di essa espressioni come Shinkokyu o Tori fune cogi undo perdono totalmente di significato.
Nelle pagine seguenti non troverete una trattazione completa dei vari argomenti coinvolti nella pratica e nella filosofia dell'Aikido ma solamente dei consigli.
 
La nostra pratica inizia con il mokuso.
Ci si pone in seiza scendendo prima sul ginocchio sinistro, l'alluce sinistro su quello destro, il bacino adagiato nell'incavo formato dall'interno dei calcagni, le spalle rilassate, il tronco eretto non in tensione, ginocchia distanti tra di loro circa due pugni, spingere sull'hara, spingere con la nuca verso l'alto. Le mani formeranno un cerchio sovrapponendo la sinistra sulla destra e facendo toccare le punte dei pollici tra loro, avendo cura di non creare "nè mari nè monti". Le mani non devono essere né rigide ne lasciate a se stesse. La lingua tocca il palato. Gli occhi chiusi, dovono guardare a circa un metro davanti a noi. Non bisogna lasciarsi distrarre da ciò che ci circonda, ma concentrarci su noi stessi.
La nostra pratica di mokuso non può essere paragonata a quella di chi pratica zazen, anche se deve rispettarne i valori morali ed etici, ma va considerata un momento di concentrazione sul lavoro che si andrà a svolgere. E proprio nella ricerca della giusta postura si può identificare lo studio che verrà eseguito successivamente.
 
Spesso si confonde l'aikitaiso per un momento di ginnastica e altrettanto spesso, purtroppo, lo si sostituisce con ginnastica di potenziamento.
L'aikitaiso è un momento molto particolare in cui si applica uno studio su di noi, sul nostro corpo, sulle nostre emozioni, sulle energie che circolano dentro di noi e sullo scambio d'energie che abbiamo con il mondo che ci circonda.
La sequenza dei movimenti non è una semplice ginnastica è importante, dunque, praticarla nell'ordine esatto, con il giusto numero di ripetizioni cominciando sempre da sinistra, salvo che per kubi no undo (esercizi per il collo) dove si parte da destra, e portarla fino in fondo.
Anche l'aikitaiso, come l'aikido, è diviso in tre parti caratterizzate dalla posizione del praticante: in piedi, in seiza e seduto o sdraiato.
La prima parte è la più spirituale, la seconda riguarda l'interazione emozioni e corpo e la terza è rivolta agli aspetti energetici posturali.

Il respiro

La prima forma d'energia con cui veniamo a contatto quando nasciamo e l'aria. Si nasce con un'inspirazione e il nostro ultimo atto terreno sarà un'espirazione.
L'eccitazione emotiva influisce sul ritmo del respiro, dato che il nostro scopo è controllare e calmare la mente, è molto importante che impariamo a controllare il respiro.
Per il Maestro Savegnago è importante che la respirazione si adatti al lavoro che stiamo compiendo e quindi, se dobbiamo portare vicino a noi dobbiamo inspirare mentre se allontaniamo dal nostro centro dobbiamo espirare. Ricordando che nella fase di trattenimento dell'aria nei polmoni l'energia si diffonde in tutto il corpo mentre nel trattenimento a polmoni vuoti si sperimenta la percezione "del nulla", dobbiamo stare attenti che il momento di inspirazione sia lungo mentre l'espirazione sarà più breve.
È secondo questi principi, per esempio, che nasce il Kiai (espressione diaframmatica e vocale dell'energia): il momento in cui deve essere espresso l'atemi è così breve che l'espirazione deve essere compressa in un tempo così piccolo da provocare una esplosione.

Shinkokyu

La pratica dell'Aikitaiso comincia con lo Shinkokyu
Shinkokyu significa "inspirare lo Spirito", manifesta l'aspetto spirituale dell'Aikido e lo mette in moto. Rispettando gli insegnamenti del maestro Savegnago non ci inoltriamo in una spiegazione che deve essere data su richiesta dei praticanti.
Shinkokyu inizia con una breve meditazione in piedi, poi si conducono entrambe le mani davanti al petto con le dita rivolte verso l'alto. Ora si aprono quattro volte a 180 gradi le braccia ed ogni volta le si riunisce in un battito di mani.
Si esegue il tutto altre due volte, e poi ancora una breve meditazione. Segue poi la pratica del Tori Fune.

Tori Fune

Si comincia con la prima forma del Tori Fune. La gamba sinistra è spostata in avanti, le braccia partono dalle anche e sono proiettate in avanti fissandosi sotto la linea delle spalle. La gamba dietro spinge verso terra, è tesa e il tallone non si solleva. La gamba avanti si piega, il tratto dalla caviglia al ginocchio è verticale la coscia obliqua.
Il primo Tori Fune si esegue con tempo jo, ragion per cui si deve effettuare lentamente ed in statica. Rispettando il ritmo dell'esercizio si pronunciano le sillabe "O...Ei". Quindi si passa al Furi Tama.
Il secondo Tori Fune lo si esegue portando avanti la gamba destra ed al tempo ha, la forma più omogenea. Quindi va effettuato più velocemente ed in maniera più fluida rispetto al primo. Eseguendolo si pronunciano a ritmo le sillabe "Ei...Iei". Quindi si passa al Furi Tama.
Al terzo Tori Fune la gamba sinistra è nuovamente avanti, tuttavia il terzo Tori fune si distingue dai due precedenti poiché si esegue con tempo kyu, il più veloce Nei primi due movimenti Tori Fune si erano mossi braccia e corpo sincronicamente avanti ed indietro; adesso invece si altera il movimento; il corpo si sposta in avanti e le braccia all'indietro effettuando dunque un movimento contrario. Così facendo si pronunciano le sillabe "Sa...Ei".
Il terzo Tori fune va effettuato più velocemente dei due precedenti, bisogna cercare di introdurre una certa energia nell'esecuzione dell'esercizio. Attraverso le varie sillabe si continuano a produrre diverse oscillazioni.
Si riesegue il Furi Tama.

Furi Tama

Al Tori Fune segue il Furi Tama. Così facendo si portano le mani davanti allo hara e le si mette l'una sopra l'altra con i palmi a contatto, facendo attenzione che la sinistra sovrasti la destra. Ora si inizia a muoverle leggermente disegnando un piccolissimo cerchio davanti allo hara. Il Furi Tama serve alla purificazione spirituale, alla distensione e allo scioglimento. Tradotto significa "scuotere lo spirito".

Proseguo

Dopo l'ultimo battito di mani le stesse vanno distese verso l'alto e cosi facendo si intersecano le dita. Poi con un Kiai si portano le mani davanti allo hara. Questo gesto simboleggia l'assunzione d'energia cosmica dall'universo e l'appropriazione di tale energia da parte del proprio centro.
In seguito si riaprono le braccia a 180° e si richiudono - qui i dorsi delle mani e le punte delle dita indicano verso il basso. Questo movimento d'apertura e di chiusura avviene lentamente così come lenta deve essere la respirazione. Dette aperture e chiusure di braccia avvengono tre volte e rappresentano Ura e Omote.
Poi si volgono le mani verso l'alto facendo vibrare mani e braccia e cercando di portare questa vibrazione fino allo hara. Dopo la resa di energia col Tori Fune questo movimento simboleggia ora il totale rifornimento di energia. In seguito si lasciano cadere le braccia e le si scuote potentemente per scioglierle.